lunedì 20 settembre 2010

C'era una volta un Principe: la favola al contrario del Milito ignoto

Questa è una parabola mal sintonizzata. Una favola in testacoda. C'era una volta un Principe, comincia così. Un Principe che in una stagione di Inter diventa Re. Semplicemente fa 30 gol in 52 partite, il vice-capocannoniere del campionato, segna nella partita-scudetto, nella finale di Coppa Italia, e fa una doppietta nella finale di Champions League. Una cosa molto vicina alla perfezione, insomma. Re Diego Milito.

Parte per il Mondiale con la corona sotto al braccio e una candidatura agli Oscar dei calciatori, il Pallone d'Oro. Figurarsi, è già suo, basta che imponga il tocco in una stagione così. E invece Diego abbatte Diego: Diego Armando Maradona decide che il centravanti dell'Argentina più forte degli ultimi 20 anni sarà Higuain, e lui, Re Milito, finisce in panca. L'Argentina è eliminata, e in arrampicata al Pallone d'Oro ci va il suo compagno Snejder, in finale con l'Olanda. Milito se ne torna nel suo regno, a Milano. Lui, o forse il suo avatar sfigato. Perché il Re in un attimo diventa il piccolo Principe. Cioè una punta spuntata: sei partite senza gol, 500 minuti di abulia, quattro sostituzioni. Anzi di più: in questo buco nero riesce ad infilarci l'imponderabile. Sbaglia un rigore nella finale di Supercoppa europea, e in Champions segna, ma nella sua porta. Siamo alla candid camera: l'autogol in favore di telecamere nemmeno tanto nascoste. "E' un periodo così - dice a testa bassa - va tutto male. Sono molto 'amarejato'... Forse pesa sulla mia condizione la trasferta negli Usa a inizio agosto: parecchi giorni lontani dall'Italia, molte amichevoli e pochi allenamenti veri. Sono un po' in ritardo di condizione, ma migliorerò. Mi servirebbe un gol, solo uno. Non dico che mi sbloccherebbe del tutto, ma sarebbe fondamentale per riprendere fiducia". E invece no. Ieri a Palermo ha tirato in porta come Eto'o, solo che il camerunense ne ha messi dentro due. Lui? A secco. Benitez l'ha tolto e persino il Principe timido ha sbottato: "Ma esco sempre io? Dobbiamo parlare". E di cosa? Magari di dove hanno nascosto il vero Diego Milito. In quale anfratto del Sudafrica lo tengono segregato. All'Inter cominciano a preoccuparsi sul serio, questo Milito qui proprio non lo riconoscono. Eccola la parabola, basta unire i puntini: da Principe a Re, a Piccolo Principe, a Milito Ignoto.

Pic - http://www.dire.it/HOME/cera_una.php?c=33986&m=3&l=it

lunedì 13 settembre 2010

Felisità

Giaccherini si invola
mentre Ibra riposa:
insacca e se ne va…

Tutto sommato, la felisità
è una piccola cosa.


Liberamente ispirato da “Felicità” di Trilussa e “Cesena vs Milan 2-0” dell’11 Sett 2010

lunedì 31 maggio 2010

Ivan Benassi aveva ragione...

Vigilia Pre-partita

Sono le 18:30 di venerdi 21 Maggio 2010. Ma non è un venerdi come gli altri. E’ la vigilia della partita più importante della competizione più importante nella stagione più importante dell’Inter. E di chi la segue ininterrottamente da 25 anni, come me. Insomma, è la vigilia della partita più importante della mia vita.

Sono le 18:30 di venerdi 21 Maggio 2010 ed io sono a Fiumicino aspettando l’aereo per Madrid. L’ho comprato prima della partita col Barca a un prezzo accettabile. Una bolletta che ho vinto, e che sto andando a riscuotere.

Noi passeggeri del volo per Madrid ci riconosciamo subito: sciarpa, bandiera o maglietta nerazzurra, gazzetta dello sport e sguardo ebete di un undicenne che ha (o spera di avere) in tasca il biglietto per la finale.

Sono le 18:42 di venerdi 21 Maggio 2010 quando Easyjet decide di ritardare di 4 ore il volo più importante sulla tratta più importante nel giorno più importante dei nostri ultimi 45 anni e lo sguardo ebete da undicenne con in tasca il biglietto della finale si trasforma in sguardo stizzito da trentenne nel traffico del lunedi mattina.

Sono le 19:05 di venerdi 21 Maggio 2010 quando una hostess di terra lascia sciaguratamente trapelare delle voci di corridoio secondo cui il pilota starebbe volando più di Icaro e, visto che la schiavitù è stata abolita, molto probabilmente non potrà effettuare anche il nostro volo notturno che sarà quindi cancellato.

Scene di isteria collettiva. Io, con la mia bolletta vinta e l’ospitalità di Giulio, sono quello che rischia di meno e sto andando in una freva biblica. Un ragazzo, che ha pagato 500€ di volo e 800€ di biglietto, sarebbe pronto a fare “vot o’ banc” prenotando per domani con Alitalia nel caso di cancellazione del volo…

…ma ecco che da buoni italiani applichiamo uno dei principali insegnamenti mafiosi e iniziamo con dei veri e propri atti intimidatori verso il personale Easy Jet trascinati dal carisma di Capitan Zanetti (un rappresentante barese della collezione white della bikkembergs dalle guance rosso pompeiano) a cui una hostess di terra ha la malaugurata idea di definire “capriccio” il suo desiderio di partire ad ogni costo. Non l’avesse mai fatto. Dopo averla minacciata di sodomia, le ricorda che assistere alla finale di Coppa Campioni dopo 38 anni nella sua vita ha la stessa importanza che ha avuto assistere al parto della figlia.

Si susseguono incontrollate voci di corriodio: si parte, non si parte, il personale easyjet stacca a mezzanotte, l’aeroporto di madrid chiude all’una, il nostro vettore non è partito da madrid, il nostro vettore è partito da madrid, il nostro vettore è partito da madrid ma non è in volo, il nostro vettore è nel triangolo delle bermuda…

Quando il morale della ciurma è al minimo, capisco che è giunta l’ora di tirare fuori l’amuleto: la maglia dello Zio Bergomi con lo sponsor Fitgar. Scene di commozione tra la folla. Al contrario di una normale tifoseria, iniziamo a celebrare l’alto medioevo calcistico degli anni ’90 e, ricordando con affetto Tramezzani, Hodgson, le SS (Seno e Shalimov), Pancev, Battistini, Bergkamp, Scifo e altri incubi, capiamo che possiamo superare anche questa…

e cosi iniziano tornei di scopone scientifico che a poco a poco sollevano il morale della ciurma finchè all’una siamo quasi certi di partire. All’imbarco la maglietta dello Zio ha il suo riconoscimento ufficiale. Faccio per togliermela convinto che abbia assolto il proprio dovere ma in molti mi chiedono di tenerla fino all’atterraggio perché “porta bene”. Decenni di interismi non si cancellano neanche dopo 5 scudetti consecutivi.

Atterriamo a Madrid alle 4:00 am di Sabato 22 Maggio 2010. Il giorno della partita più importante della competizione più importante nella stagione più importante dell’Inter, non è iniziato bene.

Ticket Hunter

Mi sveglio deciso come un serial killer. Ho in testa un solo obiettivo: entrare al Santiago Bernabeu. Ho sulle spalle una sola maglia: quella dello Zio Bergomi regalatami dallo Zio Salvatore per Natale 1991. Ho in tasca un banco di denari: quattrocento euro, il budget massimo che mi sono dato al fine di sentirmi a posto con la mia coscienza.

Esco di casa a mezzogiorno, attraverso la strada, un bambino mi indica alla mamma e mi chiede “Estas Inter?”, io penso: “Siiiiiiiiiiiiiiiii…. bambino merengue… IO sono interista e sono in finale!! Mentre TU e Cristiano Ronaldo andate a raccogliere le cresommele!!” ma mi limito ad annuire con un sorriso e mi sento una rock star.

Madrid è bellissima, piena di sole e colori. Bianco, rosso, nero, azzurro, il clima è da festa. I bavaresi bevono e indossano i pantaloni a zompa fosso tipici dell’Oktoberfest. Gli interisti cantano con l’audacia dei favoriti. Io cerco un biglietto per la festa.

Appena uscito dalla metro è chiaro come la Ferrarelle che il processo di liberalizzazione dei mercati degli ultimi decenni ha eliminato tutti i monopoli tranne quello del bagarinaggio in mano ai napoletani. Che ragionano come fossero dei broker di wall street: settecento, ottocento, mille euro!

Mi volto per verificare di non essere davanti al San Paolo ed inizio una trattativa serratissima. Prima provo ad impressionarli con le mie notevoli competenze linguistiche partenopee. Ma loro sti cazzi. Allora ci do dentro con la psicologia: mi avvicino, chiedo il prezzo e poi gli dico di no con boria per demoralizzarli. Ma loro sti cazzi. Quindi passo ai gruppi d’acquisto: fondo con tale Andrea una società di ticket-hunters. Quando siamo diventati quattro, iniziamo a lanciare OPA verso i bagarini. Ma loro sempre sti cazzi. Davanti al loro sticazzismo penso che serve una strategia. Se loro ragionano come dei broker, io mi comporto come uno speculatore e me ne vado un po’ in giro in attesa che i prezzi scendano.

Nel passeggio fuori al Bernabeu la maglia dello Zio riscuote più successo di Mario Merola a Napoli. Il mio passaggio genera espressioni di stupore (Fiiiiiigaaaaaa… la maglia dello sssssioooooo!) e cori (Bep-pe Bergomi! Bep-pe Bergomi!). Mi sento come Mosè nel Mar Rosso. Mi fermo davanti al palco di Inter Channel e quando Scarpini legge lo sponsor FitGar va in solluchero. Mi chiama sul palco per celebrarlo e io mi sento come Mosè sul monte Sinai.

Nel frattempo le azioni dei broker sono in calo. Dei ragazzi della periferia anglosassone li vendono a quattrocento. Ma i napoletani mi avvertono: “Uagliò, vir buon chell c’accatt…” Insomma girano i pacchi come se fossimo ad “Affari Tuoi” ed io convinco un bagarino a farmi un corso intensivo per riconoscerli: “piglia o bigliett… mittele controluce… vir buon ca c’addà sta scritt tre vote Champiòns (con l’accento sulla O)… mittece e det acopp… addà essere ruvido” Ed io: “E o’chip aret?” “Vabbuò uagliò, si t’accatte nu bugliett senz o chip aret… t’o mmieret!”. Giustissimo.

Forte del mio know how inizio a contrattare con chiunque a prezzi stracciati manco fossi da Mondial Casa. Raggiungo un accordo per quattrocento euro con due tifosi nerazzurri di Quartoggiaro. Quando mi arriva la proposta dell’amico di un’amica. Cinquecento. Senza Bonolis e i suoi pacchi.

Inizio a pensare. Cinquecento euro per 90 minuti di spettacolo. Cinque euro e 50 centesimi al minuto. Cosa che se Materazzi si butta a terra per guadagnare tempo, mi deve 20 euro. E’ tantissimo. Ed è immorale. Lo so. E’ contro tutti i miei principi. Lo so. C’è gente che lavora un mese per apparare 500 euro. Lo so. Lo so. Lo so. Sapete che vi dico? Non mi cacate il cazzo! Lo prendo. E la tua teoria secondo cui questi fenomeni non andrebbero alimentati? Non mi cacate il cazzo! E tutta la storia che ti eri dato un budget oltre il quale non dovevi andare? Ho detto non mi cacate il cazzo! Do quattrocento euro a Elena con la promessa di bonificarle le altre cento. E affare fatto.

Sono le cinque del pomeriggio di Sabato 22 Maggio 2010. Ho raggiunto il mio obiettivo. Ho in tasca il biglietto per la festa. Vado a mangiare con Giulio. Bevo una birra con Dan e Matteo. Incontro Vecchioni con sciarpa e cappellino. Insomma mi rilasso. Waiting for D-Match.

Ivan Benassi aveva ragione…

Birretta e Gazzetta. Gazzezza e Birretta. Tortilla. E poi si riparte. Birretta e Gazzetta. Gazzetta e Birretta… cosi si aspettano le finali di Coppa Campioni a Madrid. Io, Elena, Paolo, Dan e Matteo sentiamo le sirene: è il pullmann dell’Inter seguito da un auto con Marco Branca che sta andando ad un matrimonio. Io, Elena, Paolo, Dan e Matteo sentiamo la tensione: ci guardiamo negli occhi e capiamo che è giunta l’ora. La famosa tecnica di assegnazione dei posti acazzodicane ci ha disseminato per lo stadio come se ci avessero paracadutato dentro e, infatti, ci salutiamo come se stessimo andando in guerra.

Iniziano i sofisticatissimi controlli della UEFA per sgamare i falsi: dai il biglietto in mano a uno, lo mette in controluce, vede bene che ci sia scritto tre volte Champiòns (con l’accento sulla O), ci mette le dita sopra per controllare che è ruvido e te lo ridà. Sospetto che i bagarini abbiano preso in outsourcing anche questo business ed entro finalmente nello Stadio Santiago Bernabeu di Madrid (sentite come suona bene?).

In teoria ho un biglietto per il settore 4: la tettoia versione Business Class. Ma nel portafogli ho ancora il vuoto lasciato dai cinquecento euro (“nu milione… unanemaropriatorio!” (*)) per cui mi sembra già tanto non assistere alla partita seduto in panchina di fianco a Mourinho e mi arrogo il diritto di andare ovunque riesca fisicamente ad accedere. Uno, due, al terzo tentativo dribblo l’addetto alla sicurezza come Roby Baggio contro Bodo Illgner e mi infilo nel settore 3.

Ci sono. Seduto in alto a destra dietro la porta. Inizio a pensare. Siamo in tanti, tantissimi, e tutti sappiamo che oggi potrebbe essere uno dei giorni più belli della nostra vita (calcistica). Ma anche uno dei giorni più brutti. E quando è cosi come stai? Stai teso. Che fai? Speri. Razionalmente che puoi fare? Puoi solo sperare. Ma siccome di razionale qua non c’è niente dove vai a sperare? Vai a sperare nel posto dove ci sta la più alta concentrazione di persone nella tua stessa condizione. E comprendi che tra tua nonna che va a Medjugorie per vedere la Madonna e tu che vai a Madrid per vedere Cambiasso, non c’è molta differenza.

Inizia la cerimonia d’apertura. Immaginate migliaia di persone che aspettano di bere da 38 anni. Hanno una sete atavica e hanno attraversato il deserto degli anni ’90 per arrivare fino alla fonte dell’acqua sorgiva. E tu, invece di sparargli l’acqua con l’idrante, cosa fai? Gli proponi un quarto d’ora di geishe andaluse che ballano il flamenco? Ma chi l’ha organizzata sta partita, Carrie di Sex & The City?

Finalmente le squadre entrano in campo.

Ora voi dovete sapere che io e Javier Zanetti ci siamo conosciuti molti anni fa. Per la precisione il 25 Settembre 1995 allo stadio San Paolo di Napoli. A casa ho un biglietto con il suo autografo come prova del nostro incontro. Adesso quel biglietto varrebbe oro se non ci fosse anche l’autografo di Centofanti.

Fatto sta che quando Javier entra in campo, i nostri sguardi s’incrociano, lui mi riconosce e io gli dico: “Savè (si, stiamo in confidenza) je nun avessà parlà proprio… Savè, io e te ci conosciamo da quando Sneijder correva tra i tulipani e Balotelli veniva preso a calci dai compagni all’asilo… Io sono qui, ho fatto tutto quello che potevo, manca solo che vengo a giocare al posto di Chivu… portate sta coppa a casa…” Lui mi guarda con gli occhi del capitano che non tiene mai paura, e la partita inizia.

Dieci minuti e mi pento di non essere davvero sceso a giocare al posto di Chivu. Robben lo sta umiliando come Clinton con la Lewinsky. Anzi peggio, perché non vede passare una palla. Io entro in apnea. Batto il record di Enzo Maiorca al largo di Taormina. Sto per avere un’embolia quando Julio Cesar fa un lancio lungo, Milito fa da torre verso Sneijder che chiude il triangolo e… torno a respirare… riempio i polmoni d’aria per urlare goooooooooool! Stiamo vincendo la finale di Champions con gli insegnamenti che Mr. Enzo Sodano impartiva sul campo di Pacciano nel 1988. Trepassaggintaport. Il fascino del calcio. Alla faccia di Sacchi e la diagonale.

Nell’intervallo vengono distribuite delle bandierine. Ignorando anche le più elementari nozioni di psicologia inversa, i distributori si raccomandano vivamente di non aprirle prima dell’inizio del secondo tempo con il risultato di avere un bellissimo sventolio di bandiere nerazzurre mentre Samuel è al cesso.

Inizia la ripresa. Per non far calare la tensione Mueller si mangia un gol come fosse uno yogurt. Il pallino del gioco rimane ai bavaresi e iniziano a riaffiorare i nostri tormenti. Sento una vocina dentro che ho allevato con anni di sconfitte memorabili. Lo sai che siete riusciti a perdere partite molto più al sicuro di questa, vero? Karel, che cazzo dici? Non bluffare, so benissimo che lo sai. Stavate vincendo anche quella volta col Bayern. Ricordi? Berti fece quella cavalcata di 70 metri e tu ti avvicinavi alla TV ad ogni sua falcata. Si ma erano degli ottavi. Questa è una finale. Allora ti ricordo una finale con un’altra tedesca, lo Schalke 04. Sbagliato, vincemmo. Segnò la nonna: Wim Jonk. Sei tu che ti sbagli (non mi dai più le stesse soddisfazioni di quando eri un ragazzino), quella era con il Salisburgo.Con lo Schalke avete apparato le figure di merda. Wilmots. Vaffanculo. Dai Antonio, non fare cosi, ci conosciamo da una vita ormai. (Sogghigno). Siamo amici. Vai a fare in culo. Eh, eh, eh… (Risata sarcastica) lo vedi? Mi costringi ad essere cattivo: ei fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro…

Il dialogo è interrotto quando la palla arriva al Principe che non canta con Pupo. E’ solo davanti alla difesa del Bayern, tra i piedi un pallone, sulle spalle 45 anni di attesa di migliaia di persone. Temporeggia come Fabio Massimo, manda Van Buyten a prendere il latte come la fidanzata di Gianni Morandi ed è di nuovo solo, ma davanti al portiere. In quel preciso istante ci siamo alzati tutti, ma proprio tutti. Io, Dan, Matteo, Peppe, Paolo, Elena, suo fratello, suo cugino, il rappresentante barese della collezione white della bikkembergs, Vecchioni, Scarpini, Moratti, Mourinho il massaggiatore Della Casa, tutta la curva nerazzurra e Piazza Duomo. Milito ha percepito uno strano calore sul piede destro, ma non ci ha fatto troppo caso, e ha messo il pallone alle spalle di Butt. A partire da quell’istante abbiamo urlato tutti, ma proprio tutti. Tranne la mia vocina, che si è zittita, per sempre, spero.

Triplice fischio finale. Triplice titulo (ormai la "u" è sdoganata. Titulo, si dice quasi solo così). Tris, tripletta, triplete, hattrick: Internazionale, davvero. Zanetti che alza quella coppa è roba da fantascienza, degna di un romanzo di Philip Dick (ancora oggi periodicamente mi sveglio di soprassalto con il dubbio di essere stato vittima della più grande allucinazione collettiva nella storia del calcio, guardo la foto di Materazzi con la Coppa e mi riaddormento). Magic Mou-ments ci passa a salutare sotto la curva. Forse rimane qua. Il suo futuro è un particolare irrilevante in una storia così. Una storia d'amore, e cos'altro. Io mi incateno alle gradinate e non esco finchè non passa il custode: “Señor, tenemos que cerrar…”

Mentre mi allontano, vedo i figli dei tifosi che non dovranno patire un quarto di secolo di disfatte prima di vincere la Coppa Campioni e mi ricordo di quando ero bambino e la vita era più facile. Fino all’adolescenza il tuo mondo è la famiglia, gli amici e un pallone e per essere felice basta poco. Io quando ero piccolo su un foglio bristol A4 ho disegnato Matthaus che alzava la Coppa dei Campioni. Lo so che è materiale di studio per gli psicologi dell’infanzia ma ormai è tardi. Piuttosto, molti anni fa mia mamma aveva la sana abitudine di conservare i miei disegni e quaderni nello sgabuzzino, quello ormai avrà più di 20 anni… chissà se ce l’ho ancora… forse sarebbe il caso di incorniciarlo.

“Credo che un’Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più,
ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa.…”
Ivan Benassi detto Freccia in “RadioFreccia” di L.Ligabue, 1998


(*) “Che cosa ha detto?” “Un milione… oh, anima del purgatorio!” Tratto da Cosi Parlò Bellavista di Luciano de Crescenzo

giovedì 6 maggio 2010

Totti, un altro calcio a Balotelli: "Ero nervoso, lui è un provocatore"

Un calcione diretto, con la faccia incattivita dalla frustrazione. Altro che il bonaccione che riempie la tv di spot sorridenti. Il Pupone Francesco Totti, anni 33, picchia il pupo Mario Balotelli, anni 19. Perché l'Inter sta vincendo la Coppa Italia all'Olimpico, perché al capitano viene concesso da Ranieri solo il secondo tempo, perché quel controverso talento nerazzurro sta dribblando i suoi in batteria. Un'onta, non si fa. Francesco Totti, campione del mondo in predicato di tornare azzurro in Sudafrica (Lippi in tribuna chissà che idea si sarà fatto), si fa espellere così, nell'ignominia di un finale-rissa. Dopo quattro giorni di inviti alla vergogna spediti da una città intera all'Inter, colpevole di aver trovato sulla via dello scudetto una Lazio ammorbidita e un ambiente fradicio.

Il giorno dopo Francesco Totti picchia ancora. Mica chiede scusa. No: entra sul suo sito personale a penna tesa, se così si può dire. Autoindulgente e sfocato: "In una partita di calcio e soprattutto in momenti così importanti della stagione - scrive - credo possa capitare di essere nervosi. Va anche detto che sul campo non si riescono sempre ad ignorare offese così pesanti, alcune personali e altre dirette ad infangare una città ed un intero popolo. Soprattutto poi quando questi continui e costanti insulti provengono sempre dalla stessa persona, che fa della provocazione sistematica il suo biglietto da visita". Eccolo lì: senza fare il nome, Balotelli. Ed ecco il luogo comune estratto di buon grado per parlare direttamente al suo "popolo". Balotelli provoca e quindi se lo merita. Sono mesi che Balotelli sta in prima pagina, massacrato a mezzo stampa per tutte le cretinerie assortite che stanno sotterrando il suo talento. Totti è riuscito con un solo orribile calcio a riabilitare pure il giocatore più odiato d'Italia. Per infangare ulteriormente se stesso s'è arrampicato sul web: bastavano le scuse, questa sorta di "ha cominciato lui" serve a stento a risolvere le beghe da asilo, a 33 anni suona davvero triste. Ranieri, per restare ai suoi spot, avrebbe "passato". Invece Totti "rischia solo di passare per scemo", senza neppure una scala in mano.
Pic

lunedì 26 aprile 2010

Razzismo giustificato

Sarebbe ipocrita negarlo: il razzismo, a volte, ha cause oggettive. Nasce dall’inconciliabile differenza tra gruppi o persone destinati a non capirsi.

Prendete il caso di Jonathan Zebina, difensore della Juventus, e degli ultrs che lo fischiano, lo dileggiano, gli mettono le mani addosso. Basta sentire e vedere Zebina quando parla in televisione e si capisce tutto.

E’ un nero francese, in Italia da una decina d’anni. Parla un italiano impeccabile, padroneggia subordinate e coordinate, è in grado di esprimere concetti complessi, è appassionato d’arte contemporanea e ha una galleria a Milano. Riassumendo, è un bel signore intelligente, ricco e colto: perché mai gli ultras, che nonostante siano indigeni parlano un italiano molto più rudimentale, e con ogni evidenza appartengono a una tipologia sociale molto più precaria, non dovrebbero odiarlo?

Non stiamo parlando, come è ovvio, solo degli ultras della Juve, ma di tutti gli ultras: presi individualmente avrebbero forse una (remota) possibilità di riscatto. Ma presi in branco, urlanti e carichi di frustrazioni come sono, di fronte a uno come Zebina non possono che schiumare rabbia.
M.Serra - 30 Mar 2010

martedì 9 marzo 2010

...da Ascoli è tutto, a voi la linea.

Stamattina ho letto della morte di Tonino Carino...

Sarà pure il tempo da schifo, ma non mi prendeva così male da tempo. Ho pensato pure di scriverci qualcosa, ma non ci riesco.

E' quel bastardo di splendido passato che se ne va a farsi fottere...

Picci - 09.03.2010

venerdì 8 gennaio 2010

"Tutto il calcio" fa 50 anni, quando il pallone si guardava con le orecchie

"Per coloro i quali si ponessero solo ora davanti ai diffusori", questa frase non significherà nulla. Perché oggi i diffusori sono dolby surround, e l'affanno di Del Piero ti arriva alle spalle, tu steso sul divano con la frittata di cipolle, e lui lì a faticare come un matto. Domenica sera c'è Juve-Milan, e il 10 gennaio 1960 era invece Milan-Juve: il sorteggio ha scelto l'appuntamento perfetto per festeggiare i 50 anni di storia di "Tutto il Calcio minuto per minuto". Voci che arrivano dalla radio, e non è esercizio nostalgico mettersi lì a guardare con le orecchie una partita di pallone. E' una tradizione, caso mai, italiana fino al midollo. Di quelle che stanno piano piano mescolandosi ai clichè più stantii, tipo la vecchia solfa delle mezze stagioni. Ma questo weekend cade davvero a mezza stagione, e Juve e Milan staranno lì inquadrate da un milione di telecamere arrampicate su ogni pizzo di stadio, come una volta erano cucite su una voce sola che valeva per tutti.
La prima, da Milano, fu quella di Nicolò Carosio, e a Bologna c'era Enrico Ameri. Negli anni l'etere ha accolto altri nomi, creando miti, stampando ricordi, lasciando che un timbro di voce facesse il racconto ancor più del racconto stesso. Sandro Ciotti, Nando Martellini, Alfredo Provenzali, Ezio Luzzi, Beppe Viola, Andrea Boscione, Everardo Dalla Noce, Claudio Ferretti, Bruno Gentili, e poi gli attuali Tonino Raffa, Riccardo Cucchi, Emanuele Dotto, Filippo Corsini…Un teatro della domenica, un rito pagano che spaccava il pomeriggio italiano e lasciava le strade libere, e la gente assopita sul divano a lasciarsi affabulare con gli occhi socchiusi. Un solo orario. Figurarsi che agli albori il racconto partiva dal secondo tempo, per lasciare ai tifosi la decisione lastminute: su, andiamo allo stadio! Quello sì che era sacro. Se avessero proposto, allora, di infilare una partita a mezzogiorno per ingraziarsi il palinsesto cinese, sarebbe stata rivoluzione. E invece la tv ha usato il guanto di cashmere, si è infiltrata ed è diventata un'abitudine totalizzante: diretta gol, Sky, il digitale terrestre, anticipi e posticipi, le telecamere negli spogliatoi, i "bordocampisti"…
Quello era un altro gioco, fatto di invenzioni senza urla. Se non c'era vento la "ventilazione era inapprezzabile", se il Catania andava in vantaggio sull'Inter era "clamoroso al Cibali". Ciotti indossava colletti altissimi ma non aveva ancora la voce grattugiata dalle 14 ore di diretta filata delle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, che poi ne avrebbe fatto carne da macello degli imitatori. Il 17esimo minuto non esisteva: diventava "il minuto che intercorre fra il sedicesimo e il diciottesimo". Si prendeva la linea con garbo ("vogliate scusare, all'undecimo si è portata in vantaggio la Spal") o con veemenza ("Scusa Ameri, ma ti devo interrompere"). Erano tempi strani quelli, con gli "spalti gremiti ai limiti della capienza", altro che crisi. Il portiere parava, o tutt'al più "abbrancava in presa e si accingeva al rinvio", e la diagonale era solo una roba geometrica, semplicemente "si retrocedeva a protezione dei 16 metri". Oggi i bagliori dell'HD hanno costretto "Tutto il calcio" a organo d'informazione dei tifosi in transito, gli automobilisti che ancora non guidano guardandosi gli highlights sull'Iphone. Saranno loro a festeggiare davvero i 50 anni di pallone radiofonico, domenica sera. Pensando che il 10 gennaio 1960 di sera in tv c'era al massimo Carosello. Ma questa sì, è inutile nostalgia.
di Picci