mercoledì 7 novembre 2012

La solitudine dell'ala sinistra


Mentre la política si e’ sempre interessata al calcio, per motivi economici ed elettorali, il calcio non si e’ mai interessato alla politica. Si contano sulle dita di una mano i calciatori che hanno dichiarato apertamente le proprie idee. Rari come lo scandio sono poi i compagni calciatori: questo post vuole essere un omaggio a quelli che, sul campo e non, si sono schierati a sinistra con tutte le conseguenze che vedremo.

Cristiano Lucarelli
In questo senso il piu’ famoso di tutti e’ sicuramente Cristiano Lucarelli. Livornese di nascita e di tifo, cresciuto nel famigerato quartiere popolare Shangai, Lucarelli era un giovane promessa del calcio italiano. Segno’ 29 goal in due anni in B, esordi’ in serie A nelle file dell’Atalanta e venne convocato regolarmente in Nazionale Under21. Fino al 27 Marzo 1997, quando gli Azzurrini disputarono un amichevole a Livorno contro la Moldova. Al 17’ del secondo tempo Cristiano si smarca in area, riceve un cross di Locatelli e di prima insacca davanti ai tifosi ed ai compagni livornesi. Per festeggiare si toglie la maglia azzurra e sotto indossa una maglietta con l’immagine di Che Guevara: i tifosi del Livorno impazzirono di gioia ma Lucarelli raramente gioco’ ancora in Nazionale nonostante il suo eccellente score di 10 reti in 11 partite.


“Ci sono calciatori  che si fanno la Ferrari, lo yatch. 
Io mi sono comprato la maglietta del Livorno per un miliardo”



Paolo Sollier
Probabilemente il giocatore politicizzato piu’ conosciuto degli anni settanta fu Paolo Sollier, un attaccante ordinario che entro’ nella storia del calcio piu’ per il suo impegno politico che per il suo talento.

Sollier scrisse uno dei libri migliori ed inusuali sul calcio, il cui titolo dice gia’ qualcosa sul contenuto: Calcie sputi e colpi di testa. Riflessioni autobiografiche di un calciatore per casoe la cui copertina ritrae Sollier nella sua posa piu’ celebre: maglia rossa, pugno alzato, barba, capelli lunghi scompigliati.

Il libro infrangeva anche alcuni tabu’ che non erano mai stati affrontati in precedenza dai calciatori: il sesso, lo spogliatoio, la masturbazione ed i tifosi. Non sorprende quindi che Sollier fosse sgradito ad alcuni colleghi e giornalisti che sono attaccati violentemente nel libro e che ricevette diverse minacce da alcuni gruppi fascisti nella violenta atmosfera dell’epoca.

Oggi Sollier minimizza la natura politica della sua ribellione e sembra anche stufo delle domande sul suo saluto a pugno chiuso ma, nonostante la sua modesta carriera di calciatore professionista, e’ ancora oggetto di interviste e poesie1

“Giocare al calcio mi portava ad una vita diversa da tutti i miei amici;
 fare politica segnava una distanza netta con tutti quelli che giocavano al calcio”



Igor Protti
Protti e’ il classico outsider che non ti aspetti. Sul campo, quando nel 1995-96 vinse la classifica dei cannonieri giocando nel Bari che retrocesse. Fuori dal campo, quando prima della sua ultima partita in serie A rilascio’ un’intervista al Manifesto passata alla storia come “Ciao Compagno Protti

Cosi venimmo a sapere che il piccolo Igor frequentava la Casa del Popolo di Rimini, che suo padre era “comunista cosi” e di colpo i suoi gol ci sembrarono piu’ belli.

1 Contenuta in “La solitudine dell’ala destra” di F.Acitelli
Fonte: "Calcio" di John Foot

mercoledì 21 settembre 2011

Un attempato piemontese in tuta

Non sono mai stato un estimatore di Gasperini. I miei amici e il mio barista ne sono testimoni. E mi spiace scrivere questo post adesso che anche un famoso dietrologo come Sconcerti può cantare all’alba sulla munnezza. Ma credo che Gasperson entri di diritto nella galleria degli allenatori improbabili dell’Inter (si mormora esista una pinacoteca dedicata alla Pinetina)

In realtà il primo di cui si abbia memoria è Corrado Orrico e la sua gabbia (oggi utilizzata per la coltivazione del mate di Zanetti e Cambiasso), seguito da Roy Hodgson (“Roberto Carlos è indisciplinato tatticamente”), Lucescu, Marini, Suarez, Castellini, Verdelli e Zaccheroni.

Ma di questi fenomeni parleremo in post dedicati. Oggi vorrei cristallizzare i cinque capolavori di questa new entry della pinacoteca. Ma prima è doverosa una…


PREMESSA

Con l’aiuto di Aramis, Massimo Moratti è finalmente riuscito a fuggire dalle segrete dove il fratello omozigote l’aveva rinchiuso con l’ausilio dei Boys SAN. Dopo aver indossato la maschera di ferro per tutti questi anni, non vedeva l’ora di ripartire da dove era rimasto: Zaccheroni e il 3-4-3.

Dopo aver appreso con disappunto del cambio di residenza di Zac da Cesenatico a Tokyo, è iniziata la ricerca del sostituto. In questa fase, era già evidente che Massimo fosse tornato agli splendori degli anni ’90. Leonardo si, Leonardo no, Leonardo gnamme, se famo du spaghi. Bielsa che non allenava una squadra di club da quando Ronaldo era un Fenomeno (1998). Ha proposto la panchina dell’Inter anche a me ma purtroppo mi ero già iscritto a un corso di fotografia per quest’inverno. Insomma l’unico che ha accettato è stato Gianpiero Gasperini. Giustamente: quest’uomo in vita sua ha giocato a Pescara e Salerno e allenato Genoa e Crotone. Dopo aver verificato che non fosse uno scherzo di Sliskovic, è svenuto (notate i gagliardetti appesi in casa :)

Mentre Lucio e Maicon si telefonavano in spiaggia per capacitarsi che li avrebbe allenati uno a cui tremano le gambe nel sottopassaggio dello Stadio Adriatico, Moratti continuava nel suo scarabocchio.

Da che la palla è rotonda, ha pensato Massimo, nel trequattrotre si gioca senza trequartista. Inoltre sembra che tutti vogliano darmi un sacco di soldi per questo nano olandese. Adesso lo metto all’asta, lo vendo per un pacco di soldi e nel frattempo compro il Kakà argentino per quattro pesos. Lo sapevo che sarebbero servite tutte quelle partite a PC Calcio, continuava a pensare Massimo.

Peccato non avesse mai giocato a Risiko, perché forse avrebbe conosciuto il Daghestan, l’Anzi e quel magnate russo che si è presentato a San Babila con un barile di soldi e vodka per Eto’o. Partito il camerunense, l’argentino faceva kakà (*) e Massimo si è reso conto che non poteva vendere anche il nano olandese se non voleva far scoppiare la rivolta nell’atrio di Palazzo Durini.

Riassumendo, Gasperini è arrivato alla Pinetina come la quarta scelta di Moratti, si è trovato una squadra diversa da quella che si aspettava ed era già tanto che Samuel gli rivolgesse la parola.

Non è una giustificazione ma un’attenuante che dovremo tenere in considerazione nel corso della nostra analisi. Partiamo con la…


DIFESA

La difesa a tre è una garanzia” Gianpiero Gasperini, 10 sett 2011.

La difesa a tre non è una garanzia ma un azzardo che puoi permetterti solo se hai tre cristi di uno e novanta che sanno toccare la palla di destro e sinistro. Tant’è che in supercoppa aveva iniziato con Ranocchia, Samuel e Chivu. Poi alla prima di campionato il primo colpo di genio: Zanetti centrale con Samuel, Lucio e Miccoli che non giocava cosi bene dai tempi della Ternana. Qualcuno gli spiega che a memoria d’uomo nessuno ha mai vinto il campionato con la difesa a tre (se non culone Zac che infatti poi è andato ad allenare Holly e Benji) e con il Trebisonda schiera quatto uomini per farci contenti. Al gol di Celustka ride sotto i baffi e pensa: avete visto? Inizia a rifare la supercazzola sulla fase difensiva e la fase offensiva, e contro la Roma e il Novara torna alla difesa a tre. Per la felicità di Rigoni e Meggiorini.


CENTROCAMPO


Spero per lui che Obi si riveli un fenomeno. Perché in 5 partite l’ha fatto entrare due volte e l’ha schierato titolare tre volte. E un po’ dappertutto. In Supercoppa era partito col centrocampo a cinque: Zanetti, Motta, Stankovic, Obi e Alvarez bruciato come paglia dopo un’ora di gioco. Con il Palermo e il Trabzonospor era passato a quattro centrocampisti, con Snejder prima in panca e poi in attacco. Finalmente con la Roma è riuscito a capire come si usa il trequartista e abbiamo giocato col centrocampo a cinque. Questa soluzione tattica deve essergli sembrata troppo equilibrata perché col Novara è tornato a schierare quattro centrocampisti tra cui Snejder. Un suicidio.


ATTACCO

Snejder […] lo considero nel ruolo degli attaccanti” Gianpiero Gasperini, 10 sett 2011

Molte delle suddette genialate erano legate a questa sua convinzione. La realtà è che per lui, il nano olandese, era come la bomboniera di un matrimonio: non sapeva cosa farsene. E quindi lo utilizzava come il prezzemolo: mettendolo un po’ ovunque. In Supercoppa l’ha schierato in attacco al fianco della buonanima di Eto’o e ha anche segnato. Ma evidentemente non l’ha convinto. Perché all’esordio in campionato l’ha sbattuto in panca schierando Forlan, Milito e Zarate, meglio noto come il “Cassano della pampa” (G.P.). Un giocatore con la fragilità emotiva di un tredicenne brufoloso sostituito dopo mezz’ora di gioco alla prima di campionato. Dopo Alvarez, un altro bruciato come la paglia.

Tutto questo mentre la pelle del deretano del centravanti della nazionale diventava relativamente più spessa in responso a una ripetuta frizione sulle panchine degli stadi italiani: Pazzini faceva i calli a culo.

Ma il colpo di classe l’ha fatto contro il Novara: si sta evidentemente giocando il posto, la sua credibilità nello spogliatoio è ai minimi storici, l’ambiente è sotto una pressione di 10 atmosfere e lui cosa fa? Fa esordire in campionato un olandese di 19 anni: Luc Castagnos. Sostituendolo alla fine del primo tempo.

Dopo Alvarez, Zarate e Pazzini, un altro bruciato come paglia. Un piromane.



Riassumendo, Gasperini non ci ha capito un cazzo.

Non è tutta colpa sua: lui ha allenato e giocato solo in provincia. Si è trovato a San Siro e ha provato a fare la (sola?) cosa che gli riesce meglio: sto cazzo di tre quattro tre. Con tutti i suddetti annessi e connessi. “Ma mentre in provincia si corre e ci si ammazza, ci si spompa perché io sono Mesto, sono Rossi, sono Juric e sono un pippone e quindi devo correre come un disperato su quella cazzo di fascia per attaccare e coprire, devo dare 500 polmoni per attaccare e tornare in difesa, a centrocampo mi inserisco e corro a 500 all’ora dietro, perché ho fame, mi devo affermare, voglio che l’Inter mi compri... questo NON si può applicare se all’Inter ci sei già. Col cazzo che mi rigavettizzo per un attempato piemontese in tuta” (G.R.)

Ciao Gasperson, vogliamo ricordarti cosi.




(*) perdonatemi, è stato più forte di me.

mercoledì 14 settembre 2011

La panchina dello psicologo

Facciamo un gioco. Indossiamo i panni di Mazzarri, per un pre-partita.


Manchester City – Napoli. Esordio in Champions. Dopo un’annata trionfale, il Napoli torna in coppa campioni dopo ventuno anni. Le nuove generazioni sono al loro esordio da tifosi e la pressione della piazza è altissima.

Purtroppo l’urna ti ha destinato un girone di ferro. Bayern Monaco, Manchester City e Villareal. Realisticamente, si può puntare al massimo a un terzo posto con scivolo in Coppa Uefa.

In campionato invece, sembra che te la puoi giocare: l’Inter è allo sbando, la Roma e la Lazio sono outsider e la Juve ha cambiato tanto. Te la devi giocare col Milan, difficile ma non impossibile. E domenica, al San Paolo, ospiti proprio il Milan reduce dalla trasferta di Barcelona.

Siamo solo alla seconda di campionato, è vero, ma una vittoria in casa con i campioni in carica darebbe ai tuoi uomini delle ali di entusiasmo che potrebbero portarti lontano.

Il buon senso ti suggerisce di schierare le seconde linee. Magari potresti giocare a Manchester con una difesa a quattro, Zuniga e Gargano per far rifiatare Dossena e Dzemaili, e in attacco Pandev potrebbe far valere la sua maggiore esperienza internazionale.

Ma questo è un ragionamento da PC Calcio. Nella realtà tu sei un uomo di mezza età che deve relazionarsi con dei ventenni che hanno corso e si sono dannati per anni per arrivare a giocare su quel palcoscenico. E adesso che ci sono tu, per un freddo calcolo razionale, dovresti chiedergli di accomodarsi in panchina per poi essere al massimo domenica contro il Milan… non potrebbe essere controproducente?

lunedì 20 settembre 2010

C'era una volta un Principe: la favola al contrario del Milito ignoto

Questa è una parabola mal sintonizzata. Una favola in testacoda. C'era una volta un Principe, comincia così. Un Principe che in una stagione di Inter diventa Re. Semplicemente fa 30 gol in 52 partite, il vice-capocannoniere del campionato, segna nella partita-scudetto, nella finale di Coppa Italia, e fa una doppietta nella finale di Champions League. Una cosa molto vicina alla perfezione, insomma. Re Diego Milito.

Parte per il Mondiale con la corona sotto al braccio e una candidatura agli Oscar dei calciatori, il Pallone d'Oro. Figurarsi, è già suo, basta che imponga il tocco in una stagione così. E invece Diego abbatte Diego: Diego Armando Maradona decide che il centravanti dell'Argentina più forte degli ultimi 20 anni sarà Higuain, e lui, Re Milito, finisce in panca. L'Argentina è eliminata, e in arrampicata al Pallone d'Oro ci va il suo compagno Snejder, in finale con l'Olanda. Milito se ne torna nel suo regno, a Milano. Lui, o forse il suo avatar sfigato. Perché il Re in un attimo diventa il piccolo Principe. Cioè una punta spuntata: sei partite senza gol, 500 minuti di abulia, quattro sostituzioni. Anzi di più: in questo buco nero riesce ad infilarci l'imponderabile. Sbaglia un rigore nella finale di Supercoppa europea, e in Champions segna, ma nella sua porta. Siamo alla candid camera: l'autogol in favore di telecamere nemmeno tanto nascoste. "E' un periodo così - dice a testa bassa - va tutto male. Sono molto 'amarejato'... Forse pesa sulla mia condizione la trasferta negli Usa a inizio agosto: parecchi giorni lontani dall'Italia, molte amichevoli e pochi allenamenti veri. Sono un po' in ritardo di condizione, ma migliorerò. Mi servirebbe un gol, solo uno. Non dico che mi sbloccherebbe del tutto, ma sarebbe fondamentale per riprendere fiducia". E invece no. Ieri a Palermo ha tirato in porta come Eto'o, solo che il camerunense ne ha messi dentro due. Lui? A secco. Benitez l'ha tolto e persino il Principe timido ha sbottato: "Ma esco sempre io? Dobbiamo parlare". E di cosa? Magari di dove hanno nascosto il vero Diego Milito. In quale anfratto del Sudafrica lo tengono segregato. All'Inter cominciano a preoccuparsi sul serio, questo Milito qui proprio non lo riconoscono. Eccola la parabola, basta unire i puntini: da Principe a Re, a Piccolo Principe, a Milito Ignoto.

Pic - http://www.dire.it/HOME/cera_una.php?c=33986&m=3&l=it

lunedì 13 settembre 2010

Felisità

Giaccherini si invola
mentre Ibra riposa:
insacca e se ne va…

Tutto sommato, la felisità
è una piccola cosa.


Liberamente ispirato da “Felicità” di Trilussa e “Cesena vs Milan 2-0” dell’11 Sett 2010

lunedì 31 maggio 2010

Ivan Benassi aveva ragione...

Vigilia Pre-partita

Sono le 18:30 di venerdi 21 Maggio 2010. Ma non è un venerdi come gli altri. E’ la vigilia della partita più importante della competizione più importante nella stagione più importante dell’Inter. E di chi la segue ininterrottamente da 25 anni, come me. Insomma, è la vigilia della partita più importante della mia vita.

Sono le 18:30 di venerdi 21 Maggio 2010 ed io sono a Fiumicino aspettando l’aereo per Madrid. L’ho comprato prima della partita col Barca a un prezzo accettabile. Una bolletta che ho vinto, e che sto andando a riscuotere.

Noi passeggeri del volo per Madrid ci riconosciamo subito: sciarpa, bandiera o maglietta nerazzurra, gazzetta dello sport e sguardo ebete di un undicenne che ha (o spera di avere) in tasca il biglietto per la finale.

Sono le 18:42 di venerdi 21 Maggio 2010 quando Easyjet decide di ritardare di 4 ore il volo più importante sulla tratta più importante nel giorno più importante dei nostri ultimi 45 anni e lo sguardo ebete da undicenne con in tasca il biglietto della finale si trasforma in sguardo stizzito da trentenne nel traffico del lunedi mattina.

Sono le 19:05 di venerdi 21 Maggio 2010 quando una hostess di terra lascia sciaguratamente trapelare delle voci di corridoio secondo cui il pilota starebbe volando più di Icaro e, visto che la schiavitù è stata abolita, molto probabilmente non potrà effettuare anche il nostro volo notturno che sarà quindi cancellato.

Scene di isteria collettiva. Io, con la mia bolletta vinta e l’ospitalità di Giulio, sono quello che rischia di meno e sto andando in una freva biblica. Un ragazzo, che ha pagato 500€ di volo e 800€ di biglietto, sarebbe pronto a fare “vot o’ banc” prenotando per domani con Alitalia nel caso di cancellazione del volo…

…ma ecco che da buoni italiani applichiamo uno dei principali insegnamenti mafiosi e iniziamo con dei veri e propri atti intimidatori verso il personale Easy Jet trascinati dal carisma di Capitan Zanetti (un rappresentante barese della collezione white della bikkembergs dalle guance rosso pompeiano) a cui una hostess di terra ha la malaugurata idea di definire “capriccio” il suo desiderio di partire ad ogni costo. Non l’avesse mai fatto. Dopo averla minacciata di sodomia, le ricorda che assistere alla finale di Coppa Campioni dopo 38 anni nella sua vita ha la stessa importanza che ha avuto assistere al parto della figlia.

Si susseguono incontrollate voci di corriodio: si parte, non si parte, il personale easyjet stacca a mezzanotte, l’aeroporto di madrid chiude all’una, il nostro vettore non è partito da madrid, il nostro vettore è partito da madrid, il nostro vettore è partito da madrid ma non è in volo, il nostro vettore è nel triangolo delle bermuda…

Quando il morale della ciurma è al minimo, capisco che è giunta l’ora di tirare fuori l’amuleto: la maglia dello Zio Bergomi con lo sponsor Fitgar. Scene di commozione tra la folla. Al contrario di una normale tifoseria, iniziamo a celebrare l’alto medioevo calcistico degli anni ’90 e, ricordando con affetto Tramezzani, Hodgson, le SS (Seno e Shalimov), Pancev, Battistini, Bergkamp, Scifo e altri incubi, capiamo che possiamo superare anche questa…

e cosi iniziano tornei di scopone scientifico che a poco a poco sollevano il morale della ciurma finchè all’una siamo quasi certi di partire. All’imbarco la maglietta dello Zio ha il suo riconoscimento ufficiale. Faccio per togliermela convinto che abbia assolto il proprio dovere ma in molti mi chiedono di tenerla fino all’atterraggio perché “porta bene”. Decenni di interismi non si cancellano neanche dopo 5 scudetti consecutivi.

Atterriamo a Madrid alle 4:00 am di Sabato 22 Maggio 2010. Il giorno della partita più importante della competizione più importante nella stagione più importante dell’Inter, non è iniziato bene.

Ticket Hunter

Mi sveglio deciso come un serial killer. Ho in testa un solo obiettivo: entrare al Santiago Bernabeu. Ho sulle spalle una sola maglia: quella dello Zio Bergomi regalatami dallo Zio Salvatore per Natale 1991. Ho in tasca un banco di denari: quattrocento euro, il budget massimo che mi sono dato al fine di sentirmi a posto con la mia coscienza.

Esco di casa a mezzogiorno, attraverso la strada, un bambino mi indica alla mamma e mi chiede “Estas Inter?”, io penso: “Siiiiiiiiiiiiiiiii…. bambino merengue… IO sono interista e sono in finale!! Mentre TU e Cristiano Ronaldo andate a raccogliere le cresommele!!” ma mi limito ad annuire con un sorriso e mi sento una rock star.

Madrid è bellissima, piena di sole e colori. Bianco, rosso, nero, azzurro, il clima è da festa. I bavaresi bevono e indossano i pantaloni a zompa fosso tipici dell’Oktoberfest. Gli interisti cantano con l’audacia dei favoriti. Io cerco un biglietto per la festa.

Appena uscito dalla metro è chiaro come la Ferrarelle che il processo di liberalizzazione dei mercati degli ultimi decenni ha eliminato tutti i monopoli tranne quello del bagarinaggio in mano ai napoletani. Che ragionano come fossero dei broker di wall street: settecento, ottocento, mille euro!

Mi volto per verificare di non essere davanti al San Paolo ed inizio una trattativa serratissima. Prima provo ad impressionarli con le mie notevoli competenze linguistiche partenopee. Ma loro sti cazzi. Allora ci do dentro con la psicologia: mi avvicino, chiedo il prezzo e poi gli dico di no con boria per demoralizzarli. Ma loro sti cazzi. Quindi passo ai gruppi d’acquisto: fondo con tale Andrea una società di ticket-hunters. Quando siamo diventati quattro, iniziamo a lanciare OPA verso i bagarini. Ma loro sempre sti cazzi. Davanti al loro sticazzismo penso che serve una strategia. Se loro ragionano come dei broker, io mi comporto come uno speculatore e me ne vado un po’ in giro in attesa che i prezzi scendano.

Nel passeggio fuori al Bernabeu la maglia dello Zio riscuote più successo di Mario Merola a Napoli. Il mio passaggio genera espressioni di stupore (Fiiiiiigaaaaaa… la maglia dello sssssioooooo!) e cori (Bep-pe Bergomi! Bep-pe Bergomi!). Mi sento come Mosè nel Mar Rosso. Mi fermo davanti al palco di Inter Channel e quando Scarpini legge lo sponsor FitGar va in solluchero. Mi chiama sul palco per celebrarlo e io mi sento come Mosè sul monte Sinai.

Nel frattempo le azioni dei broker sono in calo. Dei ragazzi della periferia anglosassone li vendono a quattrocento. Ma i napoletani mi avvertono: “Uagliò, vir buon chell c’accatt…” Insomma girano i pacchi come se fossimo ad “Affari Tuoi” ed io convinco un bagarino a farmi un corso intensivo per riconoscerli: “piglia o bigliett… mittele controluce… vir buon ca c’addà sta scritt tre vote Champiòns (con l’accento sulla O)… mittece e det acopp… addà essere ruvido” Ed io: “E o’chip aret?” “Vabbuò uagliò, si t’accatte nu bugliett senz o chip aret… t’o mmieret!”. Giustissimo.

Forte del mio know how inizio a contrattare con chiunque a prezzi stracciati manco fossi da Mondial Casa. Raggiungo un accordo per quattrocento euro con due tifosi nerazzurri di Quartoggiaro. Quando mi arriva la proposta dell’amico di un’amica. Cinquecento. Senza Bonolis e i suoi pacchi.

Inizio a pensare. Cinquecento euro per 90 minuti di spettacolo. Cinque euro e 50 centesimi al minuto. Cosa che se Materazzi si butta a terra per guadagnare tempo, mi deve 20 euro. E’ tantissimo. Ed è immorale. Lo so. E’ contro tutti i miei principi. Lo so. C’è gente che lavora un mese per apparare 500 euro. Lo so. Lo so. Lo so. Sapete che vi dico? Non mi cacate il cazzo! Lo prendo. E la tua teoria secondo cui questi fenomeni non andrebbero alimentati? Non mi cacate il cazzo! E tutta la storia che ti eri dato un budget oltre il quale non dovevi andare? Ho detto non mi cacate il cazzo! Do quattrocento euro a Elena con la promessa di bonificarle le altre cento. E affare fatto.

Sono le cinque del pomeriggio di Sabato 22 Maggio 2010. Ho raggiunto il mio obiettivo. Ho in tasca il biglietto per la festa. Vado a mangiare con Giulio. Bevo una birra con Dan e Matteo. Incontro Vecchioni con sciarpa e cappellino. Insomma mi rilasso. Waiting for D-Match.

Ivan Benassi aveva ragione…

Birretta e Gazzetta. Gazzezza e Birretta. Tortilla. E poi si riparte. Birretta e Gazzetta. Gazzetta e Birretta… cosi si aspettano le finali di Coppa Campioni a Madrid. Io, Elena, Paolo, Dan e Matteo sentiamo le sirene: è il pullmann dell’Inter seguito da un auto con Marco Branca che sta andando ad un matrimonio. Io, Elena, Paolo, Dan e Matteo sentiamo la tensione: ci guardiamo negli occhi e capiamo che è giunta l’ora. La famosa tecnica di assegnazione dei posti acazzodicane ci ha disseminato per lo stadio come se ci avessero paracadutato dentro e, infatti, ci salutiamo come se stessimo andando in guerra.

Iniziano i sofisticatissimi controlli della UEFA per sgamare i falsi: dai il biglietto in mano a uno, lo mette in controluce, vede bene che ci sia scritto tre volte Champiòns (con l’accento sulla O), ci mette le dita sopra per controllare che è ruvido e te lo ridà. Sospetto che i bagarini abbiano preso in outsourcing anche questo business ed entro finalmente nello Stadio Santiago Bernabeu di Madrid (sentite come suona bene?).

In teoria ho un biglietto per il settore 4: la tettoia versione Business Class. Ma nel portafogli ho ancora il vuoto lasciato dai cinquecento euro (“nu milione… unanemaropriatorio!” (*)) per cui mi sembra già tanto non assistere alla partita seduto in panchina di fianco a Mourinho e mi arrogo il diritto di andare ovunque riesca fisicamente ad accedere. Uno, due, al terzo tentativo dribblo l’addetto alla sicurezza come Roby Baggio contro Bodo Illgner e mi infilo nel settore 3.

Ci sono. Seduto in alto a destra dietro la porta. Inizio a pensare. Siamo in tanti, tantissimi, e tutti sappiamo che oggi potrebbe essere uno dei giorni più belli della nostra vita (calcistica). Ma anche uno dei giorni più brutti. E quando è cosi come stai? Stai teso. Che fai? Speri. Razionalmente che puoi fare? Puoi solo sperare. Ma siccome di razionale qua non c’è niente dove vai a sperare? Vai a sperare nel posto dove ci sta la più alta concentrazione di persone nella tua stessa condizione. E comprendi che tra tua nonna che va a Medjugorie per vedere la Madonna e tu che vai a Madrid per vedere Cambiasso, non c’è molta differenza.

Inizia la cerimonia d’apertura. Immaginate migliaia di persone che aspettano di bere da 38 anni. Hanno una sete atavica e hanno attraversato il deserto degli anni ’90 per arrivare fino alla fonte dell’acqua sorgiva. E tu, invece di sparargli l’acqua con l’idrante, cosa fai? Gli proponi un quarto d’ora di geishe andaluse che ballano il flamenco? Ma chi l’ha organizzata sta partita, Carrie di Sex & The City?

Finalmente le squadre entrano in campo.

Ora voi dovete sapere che io e Javier Zanetti ci siamo conosciuti molti anni fa. Per la precisione il 25 Settembre 1995 allo stadio San Paolo di Napoli. A casa ho un biglietto con il suo autografo come prova del nostro incontro. Adesso quel biglietto varrebbe oro se non ci fosse anche l’autografo di Centofanti.

Fatto sta che quando Javier entra in campo, i nostri sguardi s’incrociano, lui mi riconosce e io gli dico: “Savè (si, stiamo in confidenza) je nun avessà parlà proprio… Savè, io e te ci conosciamo da quando Sneijder correva tra i tulipani e Balotelli veniva preso a calci dai compagni all’asilo… Io sono qui, ho fatto tutto quello che potevo, manca solo che vengo a giocare al posto di Chivu… portate sta coppa a casa…” Lui mi guarda con gli occhi del capitano che non tiene mai paura, e la partita inizia.

Dieci minuti e mi pento di non essere davvero sceso a giocare al posto di Chivu. Robben lo sta umiliando come Clinton con la Lewinsky. Anzi peggio, perché non vede passare una palla. Io entro in apnea. Batto il record di Enzo Maiorca al largo di Taormina. Sto per avere un’embolia quando Julio Cesar fa un lancio lungo, Milito fa da torre verso Sneijder che chiude il triangolo e… torno a respirare… riempio i polmoni d’aria per urlare goooooooooool! Stiamo vincendo la finale di Champions con gli insegnamenti che Mr. Enzo Sodano impartiva sul campo di Pacciano nel 1988. Trepassaggintaport. Il fascino del calcio. Alla faccia di Sacchi e la diagonale.

Nell’intervallo vengono distribuite delle bandierine. Ignorando anche le più elementari nozioni di psicologia inversa, i distributori si raccomandano vivamente di non aprirle prima dell’inizio del secondo tempo con il risultato di avere un bellissimo sventolio di bandiere nerazzurre mentre Samuel è al cesso.

Inizia la ripresa. Per non far calare la tensione Mueller si mangia un gol come fosse uno yogurt. Il pallino del gioco rimane ai bavaresi e iniziano a riaffiorare i nostri tormenti. Sento una vocina dentro che ho allevato con anni di sconfitte memorabili. Lo sai che siete riusciti a perdere partite molto più al sicuro di questa, vero? Karel, che cazzo dici? Non bluffare, so benissimo che lo sai. Stavate vincendo anche quella volta col Bayern. Ricordi? Berti fece quella cavalcata di 70 metri e tu ti avvicinavi alla TV ad ogni sua falcata. Si ma erano degli ottavi. Questa è una finale. Allora ti ricordo una finale con un’altra tedesca, lo Schalke 04. Sbagliato, vincemmo. Segnò la nonna: Wim Jonk. Sei tu che ti sbagli (non mi dai più le stesse soddisfazioni di quando eri un ragazzino), quella era con il Salisburgo.Con lo Schalke avete apparato le figure di merda. Wilmots. Vaffanculo. Dai Antonio, non fare cosi, ci conosciamo da una vita ormai. (Sogghigno). Siamo amici. Vai a fare in culo. Eh, eh, eh… (Risata sarcastica) lo vedi? Mi costringi ad essere cattivo: ei fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro…

Il dialogo è interrotto quando la palla arriva al Principe che non canta con Pupo. E’ solo davanti alla difesa del Bayern, tra i piedi un pallone, sulle spalle 45 anni di attesa di migliaia di persone. Temporeggia come Fabio Massimo, manda Van Buyten a prendere il latte come la fidanzata di Gianni Morandi ed è di nuovo solo, ma davanti al portiere. In quel preciso istante ci siamo alzati tutti, ma proprio tutti. Io, Dan, Matteo, Peppe, Paolo, Elena, suo fratello, suo cugino, il rappresentante barese della collezione white della bikkembergs, Vecchioni, Scarpini, Moratti, Mourinho il massaggiatore Della Casa, tutta la curva nerazzurra e Piazza Duomo. Milito ha percepito uno strano calore sul piede destro, ma non ci ha fatto troppo caso, e ha messo il pallone alle spalle di Butt. A partire da quell’istante abbiamo urlato tutti, ma proprio tutti. Tranne la mia vocina, che si è zittita, per sempre, spero.

Triplice fischio finale. Triplice titulo (ormai la "u" è sdoganata. Titulo, si dice quasi solo così). Tris, tripletta, triplete, hattrick: Internazionale, davvero. Zanetti che alza quella coppa è roba da fantascienza, degna di un romanzo di Philip Dick (ancora oggi periodicamente mi sveglio di soprassalto con il dubbio di essere stato vittima della più grande allucinazione collettiva nella storia del calcio, guardo la foto di Materazzi con la Coppa e mi riaddormento). Magic Mou-ments ci passa a salutare sotto la curva. Forse rimane qua. Il suo futuro è un particolare irrilevante in una storia così. Una storia d'amore, e cos'altro. Io mi incateno alle gradinate e non esco finchè non passa il custode: “Señor, tenemos que cerrar…”

Mentre mi allontano, vedo i figli dei tifosi che non dovranno patire un quarto di secolo di disfatte prima di vincere la Coppa Campioni e mi ricordo di quando ero bambino e la vita era più facile. Fino all’adolescenza il tuo mondo è la famiglia, gli amici e un pallone e per essere felice basta poco. Io quando ero piccolo su un foglio bristol A4 ho disegnato Matthaus che alzava la Coppa dei Campioni. Lo so che è materiale di studio per gli psicologi dell’infanzia ma ormai è tardi. Piuttosto, molti anni fa mia mamma aveva la sana abitudine di conservare i miei disegni e quaderni nello sgabuzzino, quello ormai avrà più di 20 anni… chissà se ce l’ho ancora… forse sarebbe il caso di incorniciarlo.

“Credo che un’Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più,
ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa.…”
Ivan Benassi detto Freccia in “RadioFreccia” di L.Ligabue, 1998


(*) “Che cosa ha detto?” “Un milione… oh, anima del purgatorio!” Tratto da Cosi Parlò Bellavista di Luciano de Crescenzo

giovedì 6 maggio 2010

Totti, un altro calcio a Balotelli: "Ero nervoso, lui è un provocatore"

Un calcione diretto, con la faccia incattivita dalla frustrazione. Altro che il bonaccione che riempie la tv di spot sorridenti. Il Pupone Francesco Totti, anni 33, picchia il pupo Mario Balotelli, anni 19. Perché l'Inter sta vincendo la Coppa Italia all'Olimpico, perché al capitano viene concesso da Ranieri solo il secondo tempo, perché quel controverso talento nerazzurro sta dribblando i suoi in batteria. Un'onta, non si fa. Francesco Totti, campione del mondo in predicato di tornare azzurro in Sudafrica (Lippi in tribuna chissà che idea si sarà fatto), si fa espellere così, nell'ignominia di un finale-rissa. Dopo quattro giorni di inviti alla vergogna spediti da una città intera all'Inter, colpevole di aver trovato sulla via dello scudetto una Lazio ammorbidita e un ambiente fradicio.

Il giorno dopo Francesco Totti picchia ancora. Mica chiede scusa. No: entra sul suo sito personale a penna tesa, se così si può dire. Autoindulgente e sfocato: "In una partita di calcio e soprattutto in momenti così importanti della stagione - scrive - credo possa capitare di essere nervosi. Va anche detto che sul campo non si riescono sempre ad ignorare offese così pesanti, alcune personali e altre dirette ad infangare una città ed un intero popolo. Soprattutto poi quando questi continui e costanti insulti provengono sempre dalla stessa persona, che fa della provocazione sistematica il suo biglietto da visita". Eccolo lì: senza fare il nome, Balotelli. Ed ecco il luogo comune estratto di buon grado per parlare direttamente al suo "popolo". Balotelli provoca e quindi se lo merita. Sono mesi che Balotelli sta in prima pagina, massacrato a mezzo stampa per tutte le cretinerie assortite che stanno sotterrando il suo talento. Totti è riuscito con un solo orribile calcio a riabilitare pure il giocatore più odiato d'Italia. Per infangare ulteriormente se stesso s'è arrampicato sul web: bastavano le scuse, questa sorta di "ha cominciato lui" serve a stento a risolvere le beghe da asilo, a 33 anni suona davvero triste. Ranieri, per restare ai suoi spot, avrebbe "passato". Invece Totti "rischia solo di passare per scemo", senza neppure una scala in mano.
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